Vivere a Tenerife è anche questo… Un nostro carissimo amico, che per passione e mestiere ha fatto dello scrivere molto di più che un semplice lavoro, recentemente ci è venuto a trovare a Tenerife e tra un caipirinha e l’altro, di spiaggia in spiaggia, abbiamo avuto modo di recuperare il tempo passato lontani (davvero troppo vecchio mio!), di raccontarci le rispettive novità e di lanciarci in dissertazioni esistenziali come già ci piaceva fare un milione di anni fa da adolescenti.
Alcool e sole sono due cose che, come tutti sanno, assunti nella stessa giornata, creano “cazzeggiamenti mentali” che possono portare a risultati imprevedibili…
“Credo di avere capito perché sei venuto qui e di aver compreso il senso della vita a Tenerife”, mi ha detto poco prima di ripartire consegnandomi questo scritto a mo’ di regalo e io… non ho potuto resistere!
Così abbiate pazienza con l’incolpevole scrittore. Un po’ Douglas Adams e un po’ Charles Bukowsky, sono certo che sarà sorpreso ma anche felice di rileggersi sul nostro blog ma soprattutto spero che ritorni presto per condividere nuovi vagheggiamenti… purchè sia mañana!!!
Vivere a Tenerife: racconto apocrifo
tra fantasia e profano
Era stata una settimana più “settimana” di tante altre, quasi 15 giorni (e comunque non meno di 14) condensati in 5, ognuno con davanti il simbolo “∞”. Al terminare di questo Venerdì che ero stato pronto a giurare che non avrebbe avuto fine, era stato quasi naturale e conseguente avvertire la necessità di una giornata di alienazione totale da qualunque consesso o obbligazione umana per riequilibrare nella maniera più “reiki” possibile i miei frastorni cosmici.
Avevo quindi immediatamente assemblato il mio “kit zen” con tutto l’indispensabile per penetrare le barriere delle mie energie più nascoste ed era con una certa voluttuosità, sballottato dalle onde e dai salti del gommone che mi stava portando a Playa de Masca, che lo stavo accarezzando pensando alle sei lattine di birra (unico suo contenuto) che mi avrebbero tenuto compagnia per il resto della giornata.
In realtà mi era sembrato egoistico non permettere a nessun altro di avvicinarsi a questo mio slancio verso l’illuminazione (il luppolo non sarà un’erba sciamanica ma nelle giuste quantità porta a estrusioni corporali molto similari…) e quindi per non macchiare il mio Karma, mi ero dotato di un paio di birre di riserva che avevo condiviso col pilota del gommone e che sorseggiavo con lui, chiacchierando amabilmente del nulla, in quella mattina che cominciava appena ad albeggiare e in cui il mare e il cielo sembravano fondersi in un’unica tavolozza.
Siete mai stati a Playa di Masca alle 7 del mattino? …no? …bravi! Continuate a non venirci e a lasciare che ogni volta che me ne sorga il desiderio io possa godere in esclusiva, per parecchie ore prima dell’arrivo dei turisti, di quella meraviglia della natura!
Mentre guardavo la scia del canotto che si allontanava e camminavo sul moletto di pietra che si congiungeva alla spiaggia con passo perfettamente malfermo (la “colazione” mi aveva già “illuminato” in un modo insperatamente soddisfacente…), già avevo individuato il mio “angolo di Paradiso” dove avrei steso il telo, piantato l’ombrellone, dato fondo al mio “kit” e dove Pedro (il pilota del gommone… o Paco?) aveva ordine alle 16 in punto di recuperare i miei resti, probabilmente a quel punto marcescenti, e riportarli a Los Gigantes cercando, in virtù di una gigantesca mancia che gli avevo lasciato per l’indubbiamente impegnativo lavoro extra, di ricomporli in una qualche forma biologicamente identificabile dentro la macchina a noleggio che avevo lasciata parcheggiata vicino al porto.
Completamente compiaciuto con me stesso per la minuziosa organizzazione che mi lasciava col solo compito di godere di ciò che quel giorno mi offriva l’universo, erano per l’appunto già 4-5 ore che alternavo il piacere del calore del sole a vaghi intenti di lasciarmi crescere escrescenze branchiali per non dover più risalire da quelle acque più azzurre di un lago di Scozia quando, nel mentre stappavo con perizia e attenzione la mia quarta risorsa per il raggiungimento del mio centro Zen, una voce roboante che pareva scaturire direttamente dalle scogliere, esordì con un anodino “Ehi tu!”.
Guardando di sottecchi dalle lenti scure, cercai l’ineludibile turista appena arrivato ma la spiaggia insisteva nel suo proposito di mostrarsi totalmente deserta contraddicendo il mio nascente senso di una nuova realtà più affollata e l’eco della voce pareva rotolare pigramente tra la spuma delle onde e il molo.
“C’è qualcuno?” chiesi sollevando pigramente la schiena dalla sabbia e osservando curiosamente come il moto rotatorio della terra diventi assolutamente più verificabile in particolari condizioni sperimentali e con mia grande sorpresa la voce mi rispose: “Definiscimi -vivere a Tenerife-“ lasciando che le ultime lettere rimbalzassero sul molo e dessero l’impressione di rincorrersi perdendosi e riscoprendosi tra le pareti del barranco.
Scoprii di sentirmi pragmaticamente sollevato dal fatto che nessuno mi stesse chiedendo di farmi crescere la barba e di riportare a terra delle tavole di pietra con incise magari le nuove leggi del Nasdaq e persino lusingato dal ritrovarmi coinvolto nell’afflato universale di dare un senso escatologico all’esistenza mia e di tante altre persone su questa piccola isola. Toccava a me dunque interloquire in merito per fornire LA risposta che avrebbe magari potuto influire in futuro sulla climatologia locale, sui riti di accoppiamento delle megattere o sulla composizione del cuba libre. Era un fatto inconfutabile che la risposta non potesse essere fornita alla leggera e che la risultante delle tante considerazioni da fare dovesse essere una crasi delle aspirazioni e dei modelli oggettivi di interpretazione di più di tre milioni di residenti locali.
Un nuovo inizio? Un downshifting minimalistico? Una pulsione primeva? Un gazpacho andaluso in un guachinche canario? Una cucaracha azzurra?
“Un momento per favore” dissi a nessuno in particolare “Sento di averlo sulla punta della lingua”
“Luogo curioso dove conservare un informazione…” mi rispose la voce precipitando come un masso dalla cima delle scogliere fin dentro il mare “…ma aspetterò!”, proseguirono le bolle dell’acqua gorgogliando.
Ebbi l’impressione di avvertire una punta di arroganza e mi sentii infastidito da questa pretesa di scaricarmi sulle spalle una problematica che sicuramente non mi apparteneva e soprattutto in una giornata come quella in cui la cosa più emblematica che contraddistingueva il mio essere era nient’altro che il colore rubizzo della mia pelle arditamente immolata agli ultravioletti solari. Decisi che era arrivato il momento di dimostrare di che pasta fossi fatto e di utilizzare al meglio le connessioni neurali (che al momento parevano muoversi come avvolte nella melassa) e cercai aiuto e sostegno nella quinta risorsa del mio kit zen, sicuro che nell’anidride carbonica contenuta in quella stupenda forma geometrica tubolare verde si potesse annidare la coscienza del tutto.
Effettivamente quell’ambrosia fresca e spumeggiante, nel mentre che scendeva per la mia gola, pareva rispettare pedissequamente le leggi di conservazione dello spazio spingendo in fuori quei pensieri le cui nicchie venivano via via allagate da quel liquido gorgogliante.
“Calore? Rapporti? Relax? Sorpresa? Mango? Pace libero tutti?” (non male quest’ultimo…)
Maledizione, sfioravo la superficie del lago dove si nascondeva la rivelazione senza tuttavia riuscire ad immergere il mio terzo occhio (che faceva coppia col quarto e che insieme ai due originali giustificava ampiamente la visione sdoppiata di tutto il mondo circostante) per visualizzarne il senso.
“Hai la risposta?” sentii riecheggiare da sotto la sabbia scuotendo i granelli e la mia imperturbabile pragmaticità. Cavoli, ero solo uno straniero da qualche anno sull’isola e non ero lì alla ricerca né di risposte né per pormi domande che potessero andare al di là della effettiva sufficienza delle mie scorte evasive fino all’arrivo di Pablo (…o era Pepe?).
Sentivo che cominciavo ad essere profondamente turbato dalla mia insipienza nel trovare il bandolo della matassa e che tutto quell’arrovellarsi stava alzando i miei livelli adrenalinici riducendo pericolosamente quel mio beatificante tasso alcolemico che aveva accompagnato e impreziosito le mie ore precedenti permettendomi di varcare le porte del Valhalla e di toccare quello stato di grazia che ero venuto a cercare.
Alla fine dei conti che cosa dovevo io al grande piano cosmico o semplicemente a questo grande ammasso lavico con la prosopopeica pretesa di assurgere a dignità geografica dotandosi addirittura di un nome quale Tenerife? Quella parte di me ormai irrimediabilmente canaria si stava ribellando in maniera evidente alla necessità di rispettare una scadenza per la risposta (quale abissale contraddizione in termini immaginare un canario che arrivi in orario!) e a provare un abissale senso di fastidio per questa fraudolenta turbativa della mia quiete e dei miei propositi nullafacenti.
“Semplicemente esistere? Esistere semplicemente?” (è incredibile come il diverso posizionamento delle stesse parole possa far sorgere significati nuovi ammantati di oscure e recondite differenze filosofiche…)
“Provare e non desistere? Desistere e non provare?” (stavo prendendo gusto a queste inversioni e la mia mano aveva appena deciso autonomamente di gratificarmi per questo scempio della semantica stappando la mia ultima risorsa…).
“Forse semplicemente alzarsi felici? Un pappagallo su un ramo? Una medusa nelle mutande?” Era evidente che non potevo lasciare che la mia ultima lattina precipitasse nell’ignominia della mia indifferenza cerebrale troppo impegnata in un compito che non avevo mai richiesto per di più proveniente da un qualcosa che non avevo mai cercato e così decisi di affrontare il problema da un punto di vista strettamente canario risolvendo la questione nella maniera che qui ci pare sempre quella più tipica oltre che ottimale: mi rilasciai cadere con la schiena nella sabbia, richiusi gli occhi ed esclamai “Mañana!”.
“Come si scrive?”, caprioleggiò con un velo di titubanza la voce arroccandosi su una chiazza di muschio.
“M-A-Ñ-A-N-A!” gli scandii sillabandolo ad alta voce come a rafforzare il concetto di rimandare ad altro momento quella discussione ma con mia grande sorpresa il barranco si riempì di esultanza mentre le onde e le bolle ritmavano un jazz d’antan e le scogliere cantavano le più antiche canzoni delle pietre con ritornelli sconci sui druidi ballanti nudi tra i monoliti di Stonehenge e la voce tuonò “6 lettere! Perfetto! Adesso mi risulta chiaro anche il 21 verticale!” e così com’era un attimo prima così non fu più l’attimo dopo e fu solo alle 17, con un’inevitabile ora di ritardo, che Pancho (…Placido?…Porfirio?) venne a riprendermi sulla spiaggia e mi trovò con quel sorriso soddisfatto di chi, senza bisogno di pubblicizzarlo al mondo, sa di aver aiutato il prossimo e contemporaneamente compreso la natura più profonda del vivere a Tenerife!!!!
Hasta pronto!